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Bartleby lo scrivano – Herman Melville

Di Lettrice Per Passione
8 min

«Nel mero interesse di noi stessi, quindi, qualora non possiamo ricorrere ad un motivo migliore, e specie se iracondi, dovremmo darci tutti alla carità e alla filantropia.»

Questo classico della letteratura mi mancava.
Ho letto Moby Dick, forse il libro più famoso di Herman Melville.

Bartleby lo scrivano, in fin dei conti, è un racconto, non un romanzo vero e proprio. Eppure in poche pagine riesce a racchiudere tantissime emozioni. Come ogni libro di Melville. Io l’ho letto in questa edizione molto bella di Neri Pozza, arricchita dalle illustrazioni di Antonello Silverini e con la traduzione di Enrico Terrinoni.

Il racconto è scritto in prima persona ed è narrato dal proprietario di un piccolo studio legale a Wall Street, in cui lavorano tre dipendenti: due scrivani, Turkey e Nippers (così lasciati all’interno del libro) e un fattorino, Ginger Nut. Dal momento che il lavoro aumenta, il proprietario, descritto come un uomo ben distinto e colto, nonché infinitamente posato, decide di assumere un terzo scrivano. Alla porta dello studio si presenta il giovane Bartleby: nessun cognome, nessuna referenza, ma è svelto a copiare e soprattutto a trascrivere gli atti legali e le udienze di tribunale, tutto lavoro che viene sbrigato in tempo. Il proprietario decide di dargli persino un angolino tutto suo, per tenerlo d’occhio, sebbene abbia sistemato un paravento per dargli un po’ di privacy durante il lavoro delicato della trascrizione. Le cose si complicano quando Bartleby inizia a rifiutare di eseguire dei lavori che gli vengono commissionati, con un rifiuto semplice – «Preferibilmente no.» – che in un certo senso è irritante, ma anche estremamente disarmante.

Fatto sta che si scopre che Bartleby è senza fissa dimora, è uno spiantato che non ha un posto dove andare – infatti abita proprio nello studio legale – e soprattutto non ha amici, nè conoscenti. Il proprietario è mosso da pietà e cerca di dargli una mano come può, eppure quando Bartleby si rifiuta di eseguire gli incarichi che gli vengono dati, il padrone dello studio è costretto a licenziarlo. Nonostante questo, lui non si schioda, non se ne va, continua a vivere lì nonostante sia stato cacciato, con sommo disappunto degli altri dipendenti, anche se Ginger Nut sembra averlo preso in simpatia.

Il proprietario si costringe quindi a chiudere lo studio e a trasferirsi altrove, ma i nuovi proprietari vanno a cercarlo, dicendo che il giovane Bartleby non se ne vuole andare e che, siccome il proprietario era tale quando possedeva lo studio e il giovane scrivano lavorava da lui, è una sua responsabilità. Così il giovane Bartleby viene fatto imprigionare dai nuovi proprietari, con l’accusa di vagabondaggio. Viene rinchiuso alle Tombe, le carceri di New York, e per poterlo confortare in qualche modo, il proprietario dello studio legale cerca di agevolarlo, ma Bartleby si lascia morire di inedia e così si conclude questa storia.

Questo racconto è estremamente curato per quanto riguarda le emozioni che vengono provate dal lettore: in un certo senso l’ineluttabilità dei fatti e la testardaggine di Bartleby ti fanno stringere il cuore, ma portano il lettore a porsi delle domande inevitabili: come mai il giovane scrivano continua a ripetere quella frase? Preferibilmente no. Preferirei che niente di tutto questo cambiasse. È un comportamento bizzarro, come lo è la pietà provata dal proprietario dello studio legale, ma in un certo senso questo lo si può comprendere di più, perchè comunque vedere un uomo nel fiore degli anni, senza amici, senza una fissa dimora, che ha il carattere che ha, diciamo che muove un po’ a pietà tutti. Almeno, per me è stato così.

Questo libro non ha il peso di Moby Dick, ma in pochissime pagine riesce a trasmettere tantissime emozioni. Ne consiglio la lettura a chi cerca un racconto piuttosto breve da leggere, ma denso di avvenimenti e di emozioni trasmesse. La traduzione fresca e le illustrazioni che accompagnano questa edizione stemperano un po’ lo scorrere degli eventi: nonostante il racconto sia breve, quando lo si legge porta comunque a riflettere sugli eventi e, secondo il mio consiglio, bisogna leggerlo con cautela e con la dovuta attenzione.

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