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Il magico studio fotografico di Hirasaka – Sanaka Hiiragi

Di Lettrice Per Passione
9 min

«L’anima conserva i ricordi dormienti di tutti coloro che ci hanno preceduto, questo lo so per certo.»

Hirasaka

Questo libro scritto dalla talentuosa Sanaka Hiiragi, scrittrice giapponese che vive a Tokyo, anche se è cresciuta nella prefettuura di Hyogo è davvero una coccola per l’anima. È stato pubblicato da Feltrinelli.

È commovente al punto giusto, ma porta anche a tantissime riflessioni.
Il libro non è tanto lungo: si tratta di leggere tre racconti, di tre persone totalmente differenti, che fanno capolino nello studio del sig. Hirasaka, e si ritrovano a costruire una lanterna giapponese e a rivivere un loro personale ricordo. La trama è molto semplice: ci troviamo nello studio fotografico di Hirasaka, un uomo non più tanto giovane, che si presenta come un fotografo che riceve un pacco da un postino piuttosto particolare, che gli consegna solamente fotografie.
Le persone che fanno il loro ingresso nello studio sembrano normali, ma in realtà sono morte e portano con sé il loro bagaglio fotografico, racchiuso nel pacco che il postino consegna a Hirasaka.

Il fotografo accoglie le persone, o meglio le anime, e le accompagna a ricercare un ricordo a cui sono particolarmente legati, ma il più delle volte è sbiadito, e concede loro la scelta di una macchina fotografica per rivivere quel ricordo e immortalarlo con un clic, per poi poter sviluppare la foto e aggiungerla alla lanterna che servirà per ripercorrere tutta la vita nei ricordi delle persone che giungono presso lo studio fotografico.

È una sorta di luogo di passaggio, dove le anime delle persone si risvegliano, spaesate, spaventate e il buon Hirasaka le accoglie con una tazza di tè, e cerca di metterle a suo agio e di facilitare il passaggio nel mondo dei morti.

Il primo racconto ci parla di Hatsue, una signora ormai anziana, che ha vissuto la sua vita dopo la guerra, dopo Hiroshima, soprattutto, e si è ritrovata a costruirsi la propria vita come maestra di una scuola materna, come educatrice, sostanzialmente e ha affrontato varie vicissitudini per poter farsi valere in un mondo del dopoguerra, dove spesso anche una febbre causata dalla malsanità di un ambiente comune – come poteva esserlo una scuola materna all’epoca, in cui bisognava raccogliere tutto e tenerlo da parte, in cui inizialmente Hatsue non aveva nemmeno un edificio dove poter seguire i “suoi” bambini, ma aveva un autobus abbandonato, che faceva da scuola materna.

Il secondo racconto invece ci porta a conoscere Waniguchi, esponente della yakuza, la mafia giapponese, e di un ragazzo, chiamato il Ratto, che ha un’evidente tara mentale e che viene difeso proprio da Waniguchi che si espone con il boss locale. Il ragazzo, il Ratto, sa riparare qualsiasi cosa, è un genio in questo, anche se parla poco, se ne sta sulle sue e non combina mai niente, se non riparare qualunque cosa meccanicamente. Quando una bambina porta il criceto morto e il Ratto lo ripara, Waniguchi resta sbalordito e si chiede come ha fatto: purtroppo la madre della bambina torna qualche giorno dopo indignata ed adirata e minaccia di non far più lavorare quel ragazzo che ha creato un mostro, riportando in vita il criceto della bambina. Waniguchi chiede come è stato possibile e il Ratto gli mostra un meccanismo che ha inventato, ai limiti della robotica avanzata, per poter far sì che il criceto “funzionasse” ancora. Waniguchi, come la signora Hatsue della storia precedente, deve cercare il suo momento migliore, l’unico che può immortalare e che andrà poi sulla sua personale lanterna.

L’ultimo racconto invece è quello che mi ha colpita di più: la protagonista è una ragazzina. Il pacco che viene recapitato a Hirasaka dal postino è piccolo, non ci sono molte foto, anzi, non ce ne sono quasi per nulla. Hirasaka si domanda il motivo di questa scarsa presenza di memoria fotografica e quando la ragazzina, Mitsuru, racconta la sua storia, in realtà il lettore resta a bocca aperta per lo stupore, o meglio, è quello che è successo a me. La storia di Mitsuru è delicata, molto macabra e decisamente cruda. È una storia piuttosto pesante, più delle due precedenti e per poterla leggere tutta ho fatto molta fatica, ma è densa di emozioni, e il finale è tutt’altro che scontato.

Lo studio fotografico di Hirasaka è davvero magico: chi passa tra quelle mura può scattare una foto, una sola fotografia, di un unico ricordo che può essere rivissuto. Per tutti e tre i protagonisti dei racconti è stata una scelta difficile, ma la delicatezza con cui Sanaka Hiiragi affronta argomenti importanti mi ha fatto amare questo libro.

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